Il ritmo circadiano è una sorta di orologio interno che gli esseri viventi hanno sviluppato nel corso della loro evoluzione: è strettamente connesso alla vita sul pianeta Terra e sincronizzato con il periodo di rotazione terrestre che è di circa 24 ore (precisamente, 23 ore, 56 minuti, 4 secondi).
Il termine deriva dal latino: circa significa “intorno” e dies “giorno”.
Il ritmo circadiano ci permette, sì, di adattarci con estrema precisione alle drammatiche differenze che esistono fra il giorno e la notte ma non so: è necessario, inoltre, che possiamo anticipare questi cambiamenti, così da poterci trovare già pronti. Da qui, vengono innescati cambiamenti a livello comportamentale, ormonale, di sonno, temperatura corporea e metabolismo. Ci accorgiamo delle conseguenze sul nostro benessere quando, per esempio, un viaggio aereo ci costringe al jet lag o quando, due volte all’anno, il cambio all’ora legale o solare ci impone un’artificiale adattamento (leggi il mio articolo sulle implicazioni della cancellazione dell’ora legale dal 2021)
Il ritmo circadiano è insito sia in piante che animali. Già nel 18° sec. l’astronomo Jean Jacques d’Ortous de Mairan osservò che la mimosa racchiude le sue foglie al tramonto per poi riaprirle all’alba: cosa più importante, de Mairan sperimentò che questo comportamento si ripeteva anche se la pianta era tenuta sempre al buio.
Negli anni ’70, il fisico e genetista Seymour Benzer (assieme al suo studente Ronald Konopka) dimostrarono nei moscerini della frutta che veniva provocata un’alterazione del ritmo circadiano con la mutazione di un gene che chiamarono periodo. Tuttavia, seppure osservato, questo fenomeno non ha avuto risposta alla domanda “Come funziona?”
Fin dagli anni ’90, anche Hall, Rosbash e Young hanno utilizzato i moscerini della frutta per il loro studio. Questa specie è particolarmente utile nella ricerca in quanto ha un ciclo vitale molto breve che, quindi, permette di vedere come determinate mutazioni si esprimono nel tempo. Questi tre ricercatori hanno isolato il gene period e scoperto che decodifica una proteina, PER, la quale si accumula nelle cellula durante la notte e si degrada durante il giorno.
Gli studiosi, però, si sono spinti oltre e hanno voluto capire come questa oscillazione si perpetua. In particolare, hanno osservato come la proteina PER, che è prodotta nel citoplasma, penetra poi nel nucleo delle cellula, dove è contenuto il materiale genetico.
Ecco che sono arrivati alla scoperta di una componente aggiuntiva: il gene timeless che decodifica la proteina TIM. TIM e PER si legano, entrano nel nucleo della cellula e lì bloccano l’attività del gene periodo.
Per spiegare la frequenza di questa oscillazione, Young ha identificato un altro gene, doubletime, che decodifica la proteina DBT: compito di questa proteina è ritardare l’accumulo di PER, così da sincronizzare il periodo di accumulo nelle 24 ore.
Nel corso dei loro studi, i ricercatori hanno scoperto altre componenti molecolari che spiegano ancor più nel dettaglio come funziona il meccanismo e la sua stabilità.
L’importanza di queste scoperte è potenzialmente enorme. Sappiamo, infatti, che una grande percentuale dei nostri geni è regolata dall’orologio biologico. Gli studi che fioriranno nel futuro potranno aiutarci a comprendere come adattarci al jet lag, alle differenze di ore di sole nelle varie stagioni dell’anno e alle diverse latitudini.
Prima di tutto, questa ricerca ci ricorda come siamo strettamente interconnessi al pianeta su cui siamo nati e che, al momento, è l’unico posto in cui possiamo nascere e crescere in salute, secondo le leggi che da milioni di anni governano questo ecosistema. Proprio queste scoperte ci fanno capire quanto delicati sono i nostri meccanismi: questa dipendenza da una realtà più grande, grande almento quanto un pianeta, ci mette in prospettiva quanto importante sia il rispetto che abbiamo per il nostro ambiente, la nostra casa.
Riferimenti: The Nobel Prize in Physiology or Medicine 2017