Sebbene l’essere umano sia un animale sociale, quella di saper lavorare in gruppo non è un’abilità che tutti possiedono in egual misura.
All’interno di un team di lavoro, i vari membri sono chiamati a creare un meccanismo funzionante e ben oliato in cui gli ingranaggi sono costituiti da differenti:
- personalità
- tipologie di competenze
- livelli di esperienza
- richieste lavorative
- settori lavorativi
- aspettative personali, dei colleghi, dei superiori
e l’elenco potrebbe continuare.
Probabilmente il problema principale (che a volte persino chi si occupa di human resources si porta dietro) è che si pretende di ottenere da un team di colleghi i costanti livelli di performance che ci si aspetta una macchina. Tuttavia gli esseri viventi non sono macchine ma affronteremo questo discorso in un secondo momento.
Il mio post di oggi tratta delle risorse utili e necessarie al lavoro di gruppo e come riuscire a svilupparle.
In linea generale, quando ad un gruppo di lavoro viene presentato un obiettivo comune, tra i fattori che si mettono in moto troviamo: fiducia, buona relazione, comunicazione, delega dei compiti, pensiero critico, pensiero divergente.
Per avvantaggiare i gruppi a sfruttare al meglio le loro risorse, i progetti formativi devono avere determinate caratteristiche:
- senso di sicurezza: si tratta pur sempre di un’attività ad hoc e non della vita reale;
- posta in gioco bassa: le conseguenze delle proprie azioni non sono potenzialmente deleterie;
- alto impatto: l’importanza e il valore esperenziale sono evidenti;
- coinvolgimento dinamico: non si può limitare ad una lezione frontale;
- immersività: le informazioni riguardano più sensi e risorse e le scelte operano un cambiamento;
- attività simili o attinenti al tipo di richieste dell’ambito lavorativo: l’esperienza può essere riportata al quotidiano.
Un tipo di attività che sta raggiungendo altissimi picchi di popolarità è quella delle Escape Room (in inglese Stanza di Fuga): sono stanze a tema da cui i partecipanti devono uscire prima che scada il tempo; l’uscita va guadagnata superando prove di vario tipo, solitamente enigmi (indovinelli, combinazioni per aprire lucchetti, ricerca di chiavi, ecc.). Il game master di un’escape room segue il gioco dall’esterno attraverso un monitor e delle cuffie e può fornire indizi ai giocatori, nel caso in cui vedesse che questi hanno difficoltà nella soluzione di un enigma o se ne fanno esplicita richiesta.
Un’escape room è un gioco potenzialmente per tutte le età (dipendentemente dalle caratteristiche della singola stanza) in cui ai giocatori viene generalmente richiesto di:
- ascoltare con attenzione le informazioni date nel briefing iniziale;
- esplorare un ambiente sconosciuto;
- risolvere gli enigmi;
- distinguere oggetti e stimoli utili da quelli inutili;
- dividersi compiti;
- negoziare vie di soluzione.
Potremmo quindi dire che un’escape room è una metafora di qualsiasi situazione in cui un gruppo ha un obiettivo comune da portare a termine. Per esempio, un gruppo di colleghi.
Visto il crescente interesse verso questa forma ludica, molti studiosi hanno effettuato ricerche per valutare in maniera scientifica se e possibile e, in caso affermativo, in che modo utilizzare le escape room come attività di team building.
In questo post vorrei parlarvi di un’interessante ricerca dell’anno scorso (2018) condotta da un team internazionale e che ha coinvolto 10 medici interni del pronto soccorso del Thomas Jefferson University Hospital in Philadelphia (Pennsylvania, Stati Uniti). Di questi, 8 avevano già giocato ad un’escape room e tutti avevano già partecipato ad attività di team building, soprattutto di carattere sportivo.
Prima dell’inizio del gioco, ai partecipanti è stata fornita l’introduzione con la spiegazione del tema della stanza e delle regole di base. Il tempo a disposizione per uscire dalla stanza era di un’ora e gli enigmi (circa 12) includevano, tra gli altri, riconoscimento di oggetti nascosti, sostituzione di simboli, sfide matematiche, ricerca di oggetti in immagini, risistemare oggetti badandosi su stimoli visivi, manipolazione delle luci e di oggetti, indovinelli, identificazione di schemi.
La sessione in escape room si è conclusa con un debriefing strutturato in cui il game master ha ripercorso assieme ai partecipanti la serie di indizi e le loro soluzioni, così da dare loro la possibilità di soffermarsi sull’esperienza e le dinamiche emerse.
I ricercatori hanno infine somministrato un questionario di valutazione contenente 18 domande volto ad ottenere dei feedback sulle attività svolte, le interazioni con i colleghi, il debriefing.
I partecipanti allo studio hanno ricevuto tre indizi supplementari di aiuto dal game master (la media in questa escape room è di 10/15) e sono riusciti ad uscire in 46 minuti (secondo le statistiche fornite dall’azienda dell’escape room coinvolta, il tasso di successo per la stanza scelta era del 20%).
Tutti e dieci hanno trovato similarità tra l’escape room e l’ambiente del pronto soccorso, riferendosi suprattutto ad elementi quali caos, comunicazione, pensiero strategico, diagnosi differenziale, lavoro di squadra, incertezza, delega dei compiti e limiti di tempo. Di contro, nell’escape room hanno trovato caratteristiche esclusive come la linearità, il fatto che le decisioni fossero basate su indizi e (comprensibilmente) una posta in gioco decisamente più bassa che salvare vite umane.
Questi risultati mostrano che le escape room costituiscono una valida alternativa alle attività di team building più classiche, condividendo molte delle caratteristiche del lavoro di gruppo in ambito professionale. Inoltre costituiscono un elemento di novità rispetto alla natura delle attività di team building solitamente utilizzate, riuscendo a coniugare il lato prettamente ludico con quello formativo. I partecipanti, infine, hanno apprezzato il debriefing finale, sottolineandone quindi l’utilità, e chiedendo la possibilità di implementare l’analisi degli aspetti comunicativi e di problem-solving, così da poter riportare più facilmente le risorse sviluppate all’interno del luogo di lavoro.