Galateo dell’orinatoio

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Foto di Markus Spiske su Pexels

Qualunque maschio utilizzi un bagno pubblico se ne è reso conto anche se non c’ha mai pensato: sembra esserci un vero e proprio galateo dell’orinatoio, una serie di regole non esplicite ma tramandate silentemente di padre in figlio. Per esempio, non guardare negli occhi gli altri “ospiti” del bagno, per evitare di dare l’impressione che si voglia approcciarli sessualmente.
Ma tutto comincia da quando varchiamo la soglia del bagno: al primo sguardo agli orinatoi in fila lungo il muro, il nostro cervello deve rapidamente decidere quale scegliere.
Se tutti gli orinatoi sono vuoti, l’etichetta ci direbbe di occupare uno dei due orinatoi esterni, così da dare a chi entra dopo di noi la libertà di starci più lontano possibile.
Se troviamo già una persona impegnata nel suo bisogno fisiologico, dove andremo a metterci? Alla distanza maggiore possibile (per la ragioni di cui sopra).
Se troviamo entrambi gli estremi già occupati, andremo a metterci al centro.
E se, malauguratamente, troviamo i tre posti già con ospite, sembra che la decisione migliore sia di tornare più tardi, o usare il bagno con porta.

Perché attribuire una tale gravità ad una necessità fisiologica? Ne facciamo una cosa speciale, ma solamente perché è in un contesto pubblico.
L’influenza degli altri è così forte che molte persone non riuscirebbero ad urinare in pubblico: si chiama paruresi ed è un problema molto più comune di quanto si pensi. Dal caso più semplice (orinatoio a vista) a quello più grave (anche al chiuso, se si sente la presenza di persone fuori).

Per quanto riguarda i tempi di… rilascio, secondo una ricerca molto famosa, se nessuno è presente nel bagno, i maschi ci mettono in media 4,8 secondi per cominciare ad urinare. Se invece un estraneo è nei paraggi, questa media sale a 6,2 secondi. Infine, se l’estraneo è all’orinatoio accanto al vostro, sembra che la vostra vescica attenda in media 8,4 secondi per rilassarsi e lasciarsi andare. Chi usa l’orinatoio fa finta di ignorare l’altro. Appunto, fa finta, consapevole che altro l’altro sta solo recitando la parte del lupo solitario.

La società ci insegna già da bambini a controllare stimoli e necessità del nostro corpo e ad avere una relazione di disgusto verso i nostri rifiuti fisiologici e gli odori del nostro corpo. Una necessità da società civilizzata, secondo Nick Haslam, autore del libro “Psychology in the Bathroom”. Purtroppo si è creata intorno a questo argomento una sorta di tabù che rinforza l’aura di non accettabilità verso quello che si fa in bagno. Non se ne può parlare e, nella situazione, occorre sbrigare tutto il più velocemente possibile, avendone vergogna.

Molto diverso da quello che succedeva nei bagni pubblici del passato: nell’antica Roma persino il cosiddetto vespasiano era luogo di incontro sociale. Ad Ostia antica ci sono ancora resti di questi bagni, completamente aperti anche per bisogni più consistenti della pipì.
Come vedete in questa foto, ci si sedeva uno accanto all’altro, impegnati a conversare. Quel canale di fronte ai sedili aveva dell’acqua corrente in cui si poteva inzuppare un pezzo di stoffa, avvolto in cima ad un bastone, e usarlo come carta igienica. Ok, niente di tutto ciò suona igienico, sono d’accordo con voi.
Questa pudicizia nel bagno risalirebbe al XIX sec., quando appunto le norme igieniche (e religiose) divennero più rigide.
Ma, in fin dei conti, il bisogno di espellere i “rifiuti” dei nostri corpi è comune agli esseri viventi. E noi, che siamo animali, potremmo prenderla con meno filosofia e più naturalezza.

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